Lavorare da remoto o in smart work è diventata una modalità comune per molti lavoratori italiani a partire da febbraio 2020 per via del diffondersi in Italia del Covid-19.
Lo smart work, da non confondere con il telelavoro, è definito dalla legge del 22 maggio 2017 n.81.
La legge evidenzia gli obiettivi dello smart work: aumentare la competitività e permettere al lavoratore di conciliare meglio i tempi di vita con i tempi di lavoro.
Lavorare da remoto ha coinvolto, durante la primavera del 2020, fino a 8 milioni di italiani, i quali ancora oggi in parte continuano nel lavoro a distanza.
Chiaramente vi sono stati radicali cambiamenti nelle abitudini dei lavoratori, quali ad esempio: nuovi spazi di lavoro e il dover prendere dimestichezza con l’utilizzo di software per gestire le mansioni a distanza.
Questi cambiamenti della società portano cambiamenti anche nei diritti dei lavoratori. Non è semplice orientarsi ma è importante che ogni persona conosca quali opportunità e garanzie sono offerte dalla legislazione.
Il datore di lavoro ha, infatti, obblighi verso i propri dipendenti, si vedano nel dettaglio i diritti del lavoratore, e ci sono delle prescrizioni ben precise anche a riguardo di smart working o lavoro da remoto.
Diritti del lavoratore da remoto
Delineare i diritti del lavoratore in smart work non è semplice in quanto in Italia vi sono ancora parecchi dubbi, vuoti normativi e una generale confusione terminologica tra lavoro agile, smart work, lavoro da remoto e telelavoro.
A questa si aggiunge un’ulteriore differenziazione data dal tipo di lavoratore, ad esempio tra chi lavora per la pubblica amministrazione e chi lavora come dipendente per un’azienda privata.
A livello normativo, per cercare di districarsi, si può fare riferimento alla legge del 24 aprile 2020, n.27.
L’articolo 87 precisa che fin quando l’Italia è in stato di emergenza, il lavoro agile costituisce la modalità ordinaria di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Lo stato di emergenza al momento risulta prorogato fino al 30 aprile 2021.
Per quanto riguarda invece i lavoratori dipendenti del settore privato, alcuni chiarimenti sono contenuti nel decreto-legge del 19 maggio 2020, n.34, all’articolo 90 comma 1.
In quest’ultimo caso, si può considerare il lavoro agile come un diritto per tutti i genitori lavoratori dipendenti e appartenenti al settore privato, a condizione che il figlio abbia meno di 14 anni. Ciò è riconosciuto anche se non vi sono accordi tra l’azienda e il lavoratore.
Quindi, al momento dato lo stato di emergenza e nell’ambito del settore privato, tutte le altre categorie di lavoratori si ritrovano a dover stabilire le condizioni del lavoro in maniera autonoma accordandosi con il datore, pur facendo fede ai principi contenuti nella legge del 22 maggio 2017 n.81.
Oppure possono fare riferimento ad eventuali accordi raggiunti tra il sindacato a cui appartengono e l’azienda in questione.
Di conseguenza, si evidenzia un vuoto normativo che coinvolge il lavoratore dipendente e appartenente al settore privato, il quale, nella maggior parte dei casi non sta beneficiando delle tutele derivanti da una contrattazione di tipo collettivo.
Come evidenziato in precedenza, il lavoratore in smart work deve accordarsi con il datore riguardo aspetti quali:
- diritto alla disconnessione;
- giorni di riposo;
- diritto alla formazione;
- strumenti tecnologici da utilizzare.
Per quanto riguarda i benefit, ad esempio i buoni pasto è l’azienda a decidere se concederli o meno al lavoratore in smart work.
L’accordo riguardo le modalità e i diritti del lavoratore in smart work avviene in forma scritta e successivamente è necessario che sia trasmesso servendosi della piattaforma del Ministero del Lavoro.
Al momento, però, il Governo ha prorogato lo stato di emergenza fino al 30 aprile 2021 e di conseguenza i datori di lavoro non hanno alcun obbligo di siglare un accordo in forma scritta.
Vi è, in definitiva, ancora molta confusione riguardo i diritti del lavoratore in smart work.
Lo stato emergenziale, infatti, ha fatto sorgere molti dubbi, tanto che, ad oggi, risulta difficile inquadrare dal punto di vista normativo lo smart work.
Inoltre, risulta un vuoto normativo anche se si prova a fare riferimento al telelavoro. In queto caso, infatti, il settore privato non è disciplinato per legge.
Tuttavia, vi è un riferimento contenuto nell’accordo interconfederale del 9 giugno 2004: l’Accordo Quadro Europeo.
A tutti gli effetti, al momento lo smart work in Italia è sì presente, ma sussistono ancora molte zone oscure e da chiarire.
Ad onor del vero, alcuni progressi sono stati fatti grazie agli accordi raggiunti tra i sindacati e alcune grandi imprese.
Ad esempio: Poste Italiane
L’accordo tra Poste Italiane e il sindacato ha permesso ai lavoratori di beneficiare di importanti diritti. Questi, infatti, si vedono oggi garantiti:
- diritto alla disconnessione;
- apparecchiature fornite dall’azienda;
- formazione garantita;
- trattamento economico di pari entità ai lavoratori in sede.
Inoltre, si evince dalla nota del sindacato, l’accordo ha anche permesso che venisse scongiurato il tentativo di controllo da remoto della postazione del dipendente.
Quali interventi per il futuro
In futuro quando l’emergenza sarà un ricordo, ci si aspettano interventi volti a regolarizzare sotto ogni aspetto lo smart work.
È evidente, infatti, che la modalità di lavoro agile continuerà nei prossimi anni.
Al momento, il lavoratore dipendente di un’azienda privata deve contrattare in autonomia aspetti non ancora stabiliti dalla legge e che quindi non costituiscono un diritto acquisito. Tali aspetti sono:
- La volontarietà o meno di lavorare a distanza;
- Un limite di orario giornaliero e settimanale definito;
- Il diritto alla disconnessione;
- Una parità retributiva tra in lavoratore in sede e il lavoratore in smart work;
A tali punti dovrebbero aggiungersi norme volte a definire:
- La protezione dei dati;
- il diritto alla riservatezza;
- Le coperture assicurative.