(di Romano Calvo)
In commento ad un interessante articolo dell’economista Sergio Bruno, pur condividendo la sua tesi di fondo (il problema è politico e non economico) ed interesse per la sua proposta di revisione dei Trattati europei, ho posto un quesito: se anche la BCE diventasse come la FED, e la UE come gli USA, ciò basterebbe per farci uscire dall’attuale crisi? La mia risposta è no!
Nella impostazione di molti economisti di scuola keynesiana vi è spesso una drammatica sottovalutazione dell’elemento più evidente di questa crisi: l’ammontare del Debito aggregato, complessivamente inteso. Sappiamo che si tratta solo in parte di debito pubblico, poiché è essenzialmente debito interbancario, debito estero e debito privato. Una bolla che viaggia sulla nostra testa e che supera, per l’Occidente, una decina di volte il PIL prodotto ogni anno.
Se esiste un Debito esiste anche un Credito.
Se il PIL è il reddito nazionale e questi è composto da consumi + risparmio, e posto che nel prossimo futuro i consumi non si potranno ridurre ancora di molto, quanto risparmio futuro si dovrà bruciare per poter soddisfare tutti quei creditori? Qualcosa che supera il centinaio di anni, passati a lavorare per devolvere quanto risparmiato al risarcimento dei debiti.
Ovvio che non ha senso ragionare in questo modo perché in quella logica difficilmente si potrebbe ancora creare risparmio, ed il meccanismo della crescita si incepperebbe.
Eppure è a questa prospettiva che Monti, il PD-PDL, e buona parte degli “economisti”, ci stanno portando.
Altri invece sostengono che il debito non è un problema, perché, come nella catena di sant’Antonio, basta che ci sia sempre qualcuno che alla fine lo compra.
Un’altra componente infine vede tutte le soluzioni nell’imposta patrimoniale: come se esistesse un patrimonio materiale lì pronto da convertire per soddisfare i creditori. Se anche sommassimo tutti i beni immobili e fondiari dell’Occidente e fossimo in grado di dargli un prezzo e fossimo disponibili a cederlo ai “creditori”, molto probabilmente ciò non sarebbe sufficiente a ripagarli di quanto loro dovuto.
Il punto di non ritorno è già stato superato: la totale privatizzazione del mondo non sarebbe più sufficiente a soddisfare l’ammontare di credito accumulato.
In Alternativa, basterebbe riconoscere una verità elementare: ciò che viene definito “Patrimonio” in realtà è un credito immateriale, non è patrimonio fisico, ma la rappresentazione astratta di un potere virtuale. Quel credito è detenuto da pochi soggetti i quali, grazie alle regole di questo gioco, esigono una garanzia di convertibilità materiale. E sono in grado di togliere ossigeno all’economia reale, pur di ottenere quanto loro dovuto. E così il loro potere da virtuale diventa reale.
Per questo sosteniamo che la vera tassa patrimoniale stà nella cancellazione del debito.
E’ del tutto ovvio che la speculazione non è quella cosa cattiva che ci rappresentano, trattandosi banalmente di operatori specializzati che giocano per massimizzare i capitali in loro gestione.
Il problema infatti è proprio qui: nelle regole che consentono a quel gioco di ripetersi e nella montagna di debito che quel gioco ha finora accumulato.
Ciò che i mercati si attendono è molto semplice: date ai creditori il segnale che i titoli in loro possesso non sono carta straccia. Voi politici, garantiteci che farete di tutto per rendere materialmente convertibili i titoli in nostro possesso.
L’unico segnale che funziona in questo contesto si chiama quantitative easing o meglio garantire il credito esistente creando altro debito, rinviando ad un futuro indefinito il redde rationem.
E’ la ricetta americana. Su questo elemento troppi economisti vacillano. Ci dovrebbero invece dire che quei quantitative easing in realtà li pagheremo noi, con il nostro lavoro.
Le terze vie (una BCE simile alla FED) hanno il fiato corto perché mirano a dare un po di ossigeno ai “mercati” creando temporaneamente ancora un po di debito, per rinviare appena di qualche mese o qualche anno, il crollo sistemico.
Dalla crisi si uscirà solo con una colossale distruzione di capitale.
L’unica cosa seria di cui parlare è come arrivarci e come mettere l’economia reale, il lavoro e la vita umana, al riparo da questa inevitabile “distruzione creativa”.
E’ una riflessione logica. Differire all’infinito il momento in cui il creditore passa all’incasso, significa in sostanza obbligare gli Stati che emettono titoli a contrarre la spesa pubblica, distruggendo il welfare e privatizzando tutto il possibile per garantire il debito. Se il big bang arriva, a questo punto meglio che sia per tutti, piuttosto che solo per quella parte di umanità che rischia la miseria solo per garantire la credibilità dei bond. Credo che una soluzione intermedia (ma forse solo temporanea) potrebbe consistere nel porre un limite, anche retroattivo, agli interessi su tutti i bond posseduti da chi ha redditi superiori a 50.000 € annui (Banche, Assicurazioni, Finanziarie, e cosche similari): non oltre il 2%. Il mercato perderebbe la sua ratio di libertà assoluta, ma la politica tornerebbe a riprendersi la sua ratio, quella di governare i processi e di relativizzare con precisi paletti il dio mercato.
Gentile Paolo Andreoli, la tua idea sull’intervento retroattivo, sebbene non si possa qui discuterne l’applicabilità tecnico-politica, è molto intrigante e richiama in modo suggestivo il grande tema che l’analisi dell’attuale crisi pone con prepotenza: mi riferisco al concetto del tempo, al rapporto tra passato e futuro nelle scelte economiche. Credo sia questo l’elemento che ci consente di raggiungere il pensiero della gente, soprattutto di chi non segue le technicality della scienza economica.
Con le decisioni di oggi stiamo ipotecando il futuro nostro e dei nostri figli. Più gravemente, con le scelte fatte ieri sono state precostituite le condizioni “necessitate” delle scelte di oggi.
Domanda: è pensabile un “sistema” in cui una diversa visione del futuro possa andare ad intervenire sulle scelte del passato? E’ una delle tesi del giallo-romanzo di Piero Pagliani (Mimesis, 2011) che giovedì 15 dicembre Giulietto Chiesa ha presentato a Milano. Oltre a consigliarlo come lettura natalizia, riporto la frase che Pagliani mette in bocca all’agente americano e che dice: “Si rende conto che la ricchezza creata appartiene sempre al passato e che tutta l’economia è solo un enorme contratto che serve a garantire il futuro? Una catena di transazioni e promesse governata dal tempo, in cui ogni inadempienza o ritardo, può essere il seme di una catastrofe?”.
E’ evidente che un’emergenza come quella attuale prelude ad una politica forte capace di scelte forti (io non sono economista), e le scelte forti non possono garantire tutti, in particolare non i meno abbienti altrimenti saremmo già in una fase presocialista oggi affatto improbabile. Ma siccome, nelle fasi acute delle ricorrenti crisi storiche, sono proprio le classi deboli a farne le spese e quelle medie (storicamente sempre le più ondivaghe e facilmente interecettabili dal “salvatore” di turno in grado di scagliarle contro il “mostro” di turno) a temere di scendere la scala sociale di un fatidico gradino, occorrerebbe spiegare con chiarezza che, ad oggi, le strade sono sono solo due. La prima, più probabile: una giungla etico-sociale in cui ognuno cerca la sopravvivenza a spese del debole più vicino, uno Stato regredito a larva di se stesso impossibilitato a garantire i creditori più forti che lo trasformeranno rapidamente in forme autoritarie di pseudo-democrazia che assicuri la sola circolazione delle merci in un contesto di sostanziale controllo delle idee.
La seconda sta nella possbilità di far capire alle classi medie che è meglio perdere una mano che l’intero braccio e di attrarle in una sfera ideale di consenso a politiche di forzosa e progressiva riduzione del debito attraverso quel meccanismo di riduzione dei tassi d’interesse che, se tecno-politicamente sarebbe certo temerario e giuridicamente complesso, alleggerirebbe il peso che oggi grava sugli ormai celebri 99 contro 1, ma soprattutto sgraverebbe le generazioni più giovani da oneri che il solo pensare di lasciar loro in eredità dovrebbe imporre le scelte più ardue. Ma forse ha ragione Lei, è solo economia romantica e per ora può costituire solo il canovaccio di un film il cui regista dovrebbe essere quel “popolo” che invece, nonostante qualche sussulto, si affida alle voci fuori-campo di una classe politica occidentale (forse anche mondiale) che di politico non ha che la nostra illusione che possa diventarlo.
Una società che regge sul circolo vizioso lavoro-produzione-consumi ha futuro solo se si pongono limiti e regole rigide, in primis quelle sul debito/credito pubblico e privato. E la prima regola dovrebbe suggerire ad una nuova classe politica convinta del suo ruolo di pubblico interesse e servizio che oggi non s’intravvede, la nazionalizzazione della banche almeno a livello europeo. Solo così, credo, alle banche sarebbe impedito di speculare contro…sè stesse.
Mi scuso per la lungaggine, e anche per una certa prolissità dovuta alla mia scarsa confidenza con la materia economica.
Cordialità
Romano titola “Se esiste un Debito esiste anche un Credito”, un ovvietà più apparente che reale. Ma sull’accettazione implicita e scontata di questa “ovvietà” si regge tutta la “logica” dietro cui si nasconde il Monti di turno.
Le tante mafie imprenditrici hanno il problema di riciclare il denaro ottenuto dal crimine, per questo stessa provenienza illegittimo e a rischio confisca da parte delle Istituzioni Pubbliche. Per questo sbaragliano la concorrenza non criminale, perchè il “lavare” denaro impiegato nell’impresa è più importante che conseguire profitti e quadrare il bilancio, e questo li rende molto “competitivi”.
Il sistema gestionale del denaro fa la stessa cosa, riciclarlo in continuazione, ma con uno scopo diverso, in parte, dal “lavarlo” dall’illegittimità economica, cioè dal semplice sigoraggio bancario. Lo scopo primario è infatti mescolare continuamente i ruoli dei partecipanti al gioco del riciclo, confondendoli col giochino reiterato delle tre carte, fino a che i ruoli s’invertono e nessuno è più in grado di ricostruirne i movimenti e spiegarne così i meccanismi e i perché. Gli esiti però sono sempre gli stessi, obbediscono sempre alla stessa legge di privatizzare i profitti e pubblicizzare le perdite, trasformando le Istituzioni Pubbliche nel miglior alleato di tale sistema, di complice essenziale e compagno di merende del crimine legalizzato, che aumenta la forbice tra la grande massa di derubati e il vertice dei “privilegiati”.
Sto dicendo che l’eccesso di massa monetaria prodotto dal sistema bancario privato e dalle sue Banche Centrali che ne sono l’espressione diretta, è funzionale anche e soprattutto a “girare” il ruolo di emittente-debitore in creditore-proprietario, a spese dei produttori di ricchezza economica che ospitano questa macchina parassitaria ormai dominante e schiavizzante “grazie” a questa funzione primaria. Le banche emettono moneta e la riciclano fin dall’inizio in altre forme di moneta, private e statali, da riciclare a loro volta in un gioco sempre più complesso e inestricabile fino a che risulta impossibile separare le origini del vero debito e del vero credito, cioè dei soggetti titolari dei rispettivi diritti. Essendo un gioco dei diritti, ecco che il garante del diritto, lo Stato, deve necessariamente diventare il complice, l’attore primario indispensabile alla continuità del processo, anche quando questo arriva alle estreme conseguenze di far morire il corpo parassitato, che questa degenerazione di Stato in linea di principio astratto, e solo in questa, ancora “rappresenta” (democrazia rappresentativa fondata sul principio di maggioranza, non importa se espressa da minoranze di votanti tra gli “aventi diritto” al voto).
A questo punto, a questo stato di avanzamento dei lavori del sistema bancario privatizzato, occorre per prima cosa riconoscere, da parte della base sociale, l’estraneità dello Stato dal suo ruolo teorico di rappresentanza. Un’estraneità talmente radicata, estrema e consolidata da essere oggettivamente irriformabile. Cosa che “le sinistre”, ciò che ne è rimasto all’interno di queste istituzioni degradate, non ammetteranno mai, denunciando anche intellettualmente il loro degrado indotto.
Solo un cambiamento di paradigma che soffia dal basso, dall’enorme platea degli indignati dei vari continenti, può avere la forza sufficiente a prevalere sulle vecchie logiche ormai chiaramente suicide. Il pilastro del nuovo paradigma dev’essere perciò il superamento di quell’ovvietà dalla quale siamo partiti: la moneta non è più un debito istituzionale e pubblico, comunque emesso, ma un credito proporzionato alle potenzialità dell’economia reale e sostenibile, al servizio del cittadino e delle sue esigenze, secondo le sue volontà consapevoli e libere.
21 Dicembre: è scattato il quantitative easing di Mario Draghi: http://romanocalvo.wordpress.com/2011/12/21/eh-gia-bravo-te-adesso-ce-il-backdoor-quantitative-easing/